Intervista a Dondolini

“Tutto ciò che ha a che fare con la sicurezza degli utenti della strada”. Così Sergio Dondolini riassume le competenze della Direzione generale per la sicurezza stradale , creata alla fine di febbraio 2008, di cui è stato nominato responsabile. “L’aver voluto dedicare alla sicurezza una struttura appositamente costituita è un segnale evidente di quanto per l’Amministrazione questo tema sia importante”. Dondolini, ingegnere meccanico, dopo aver lavorato in un’industria che progettava e produceva motori, è al Ministero da una ventina d’anni. Definisce la sua Direzione come “il braccio tecnico del Ministero in materia di sicurezza stradale, innanzitutto per quanto riguarda gli aspetti normativi, sia a livello nazionale che internazionale. In particolare ci occupiamo – in sede comunitaria a Bruxelles ma anche in seno ad altri organismi normativi, di elaborare quelle regole che poi verranno recepite dalla varie legislazioni nazionali”.

Illustrando le attività della Direzione, Dondolini ci tiene a partire dall’aspetto della costruzione delle regole: “Perché il terreno delle regole è quello in cui più evidenti sono i nessi fra quelle entità che costituiscono il ‘trinomio fondamentale’ della nostra azione: l’uomo, il veicolo e la strada. Sono tre elementi che vanno affrontati in maniera integrata, per puntare a quella che è la nostra vera missione: la sicurezza sulle strade”.

La ‘titolarità’ di ciascuno di questi elementi è ripartita tra diverse strutture del Ministero?
“In questa Direzione facciamo davvero lavoro di squadra e il nostro compito è creare sicurezza mettendo a fattor comune l’opera di tanti soggetti”.

Quanto è difficile tenere insieme le tre componenti uomo-veicolo-strada? Progrediscono in modo uniforme?
“Non come vorremmo, soprattutto per quanto riguarda i comportamenti. Diciamo che, delle tre, quanto ai veicoli siamo a buon punto; l’infrastruttura è sicuramente da migliorare ma è la componente in cui è maggiormente sentito il problema della disponibilità delle risorse ; quella umana invece…”.

Invece?
“In questo settore siamo indietro. Dobbiamo riuscire a entrare nella testa e nel modo di stare sulla strada delle persone, far comprendere agli utenti i reali rischi che corrono,  cercando di elevare la loro capacità di percepirli e, conseguentemente, indurli verso comportamenti di guida sicuri.  Per riuscirci occorre spiegare chiaramente, anche ricorrendo a forme di comunicazione mirate, che tenere una condotta responsabile non è una limitazione o un vincolo. E’ necessario, in definitiva, far diventare i 35 milioni di patentati italiani, e con loro anche tutti gli altri utenti della strada, consapevoli dei rischi che quotidianamente  si trovano ad affrontare”.

Per quanto riguarda  i veicoli?
“Ma a cosa serve che le auto moderne abbiano cinture di sicurezza sempre più efficaci se poi non vengono allacciate? E l’air-bag? Senza cinture non solo è inutile, ma può addirittura essere dannoso. I comportamenti sbagliati delle persone riescono ad annullare i benefici anche delle più evolute tecnologie destinate alla sicurezza che abbiamo sui nostri veicoli”.

Sicurezza, dunque, è una parola che fa rima con disciplina… Come sono gli italiani visti dal suo punto di osservazione?
“Alle sollecitazioni (una nuova norma o una campagna di informazione) l’automobilista italiano si rivela abbastanza ricettivo, anche nei comportamenti. Ma mostra una caratteristica abbastanza preoccupante, una volta che il primo effetto comincia ad attenuarsi, il comportamento degli utenti tende a tornare ai livelli preesistenti. Prendiamo per esempio la patente a punti: appena è stata introdotta abbiamo assistito a un immediato calo delle infrazioni più a rischio-punti. Ciò ha portato ad una riduzione della mortalità dell’ordine del 20 per cento, un dato che ha stupito anche noi tecnici”.

Dopo quanto si è tornati al punto di partenza?

“Al punto di partenza, per fortuna no, nel senso che almeno una parte delle buone abitudini si radicano e diventano comportamento acquisito. Ma, purtroppo, stiamo facendo molta fatica a mantenere l’evoluzione dell’incidentalità sotto le soglie che abbiamo programmato”.

In effetti, basta guardarsi in giro per vedere poche cinture allacciate, oppure automobilisti che telefonano mentre guidano…
“Questo dell’uso delle cinture, ma anche dei caschi per i motociclisti, è un tema che ci rivela una tendenza preoccupante. Abbiamo appena pubblicato l’edizione 2007 del rapporto Ulisse , una indagine fatta in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e i dati ci rivelano che il numero degli automobilisti che usano le cinture è calato dall’83,5 per cento di metà 2003 al 64,6 per cento del 2007, con una diminuzione di ben 7 punti in un solo anno. E i dati ci rivelano anche  grandi differenze tra Nord e Sud del Paese. Per quanto riguarda i caschi, la situazione è  ancora più allarmante: ci sono alcune piccole città del Mezzogiorno dove la quota di motociclisti col casco è di pochi punti percentuali”.

E a proposito di telefonini?
“Un solo dato: i tecnici ormai concordano sull’equiparare il calo della soglia di attenzione di chi guida telefonando a quello che si ha con un livello di alcol nel sangue doppio della quantità ammessa. E quindi i tempi di reazione sono almeno doppi del normale. Tradotto in altre cifre significa questo: a 100 km orari si fanno 28 metri in un secondo e se il tempo di reazione col telefonino in mano raddoppia e i metri diventano 56 … il gioco è fatto. Eppure quanti automobilisti se ne rendono conto?”.

Sul tema della sicurezza il Ministero sta puntando grandi risorse, destinate a tradurre in realtà tutte le misure previste dal Piano nazionale della sicurezza stradale realizzato da una task force di studiosi ed esperti, la cui implementazione è affidata proprio alla struttura da lei diretta.
“Anche qui, come linea guida, c’è un obiettivo fissato dall’Unione europea e che i Paesi membri si sono impegnati a raggiungere: dimezzare il numero dei morti per incidenti stradali entro il 2010”.

L’obiettivo sarà raggiunto?
“Attualmente siamo un po’ indietro. Per il 2010 al traguardo che si era data l’Europa a 15 (passare da 50.000 a 25.000 morti) difficilmente si arriverà: la stima aggiornata è di 36.500, con una diminuzione media non del 50 ma del 35 per cento”.

E l’Italia come se la cava?
“Diciamo che dopo una partenza piuttosto lenta, ora sta recuperando, in primo luogo per merito delle misure del decreto dell’estate 2007 (sanzioni più severe per i comportamenti rischiosi, ad esempio la guida in condizioni in stato di ubriachezza o sotto l’effetto di droghe, guida col cellulare, eccesso di velocità, guida senza patente, ecc.) e poi grazie all’aumento dei controlli (solo quelli con l’etilometro sono passati da 240.000 a 800.000 in un anno e nel 2008 si punta a superare quota un milione e mezzo). Nei primi cinque mesi successivi all’entrata in vigore del decreto il numero degli incidenti è diminuito del 7,2 per cento e quello dei morti del 13,8 per cento. E i primi dati del 2008 confermano questa tendenza. Posso senz’altro dire che questo è un buon risultato anche se ancora non soddisfacente”.

Qual è, tra i mille dati e le mille statistiche che lei maneggia ogni giorno, quello che più la colpisce? “Immancabilmente questo: in Italia, nella fascia di età tra i 14 e i 40 anni gli incidenti stradali sono la prima causa di morte. Oltre che da tecnico, guardo a questo dato con gli occhi della persona comune: penso a quante tragedie, a quanto dolore, a quali costi individuali e sociali ci sono dietro. Ridurre la mortalità sulle strade significa, statisticamente, risparmiare prima di tutto molte di queste vite…”.

Un altro dato, scelto nelle tabelle che ogni giorno esamina, relativo a un aspetto che le sta particolarmente a cuore?
“Quello relativo ai cosiddetti soggetti deboli della strada, cioè  pedoni e utenti delle due ruote. A chi mi chiede il perché, di solito rispondo con questa domanda: sa dirmi quanti sono i morti all’anno in incidenti in autostrada e quanti i pedoni? Sento le risposte più disparate, ma tutte lontane dal dato corretto. E quando lo dico, tutti si stupiscono: 548 i morti in autostrada, 748 i pedoni. Per i pedoni, finora, non si è fatto abbastanza. E poi i ciclisti: quelli che muoiono sono fra 250 e 300 l’anno. Per non parlare delle due ruote a motore: mentre il numero complessivo degli incidenti cala, purtroppo aumentano quelli che coinvolgono i motociclisti, che ormai totalizzano il 27 per cento della mortalità stradale”.

L’attenzione concentrata su quelli che lei prima ha definito gli utenti deboli è un esempio di strategia mirata.
“E’ esattamente così: teniamo d’occhio un fenomeno nelle sue caratteristiche complessive e lo affrontiamo con misure di prevenzione generale. Ma stiamo anche attenti a intervenire concentrando gli sforzi dove ce n’è più bisogno. Ad esempio ci sono una dozzina di strade, in tutta Italia, che pur rappresentando per estensione soltanto il 2 per cento dell’intera rete statale e regionale totalizzano l’8 per cento delle vittime e il 9 per cento dei feriti: bene, è su queste 12 strade che, d’intesa con le forze di polizia, abbiamo deciso di intensificare i controlli ed è su queste 12 strade che verranno impiegati i nuovi 950 etilometri e 2300 precursori che abbiamo comprato e assegnato alle pattuglie”.

Un’altra caratteristica peculiare del Ministero è la presenza sul territorio.
“Gli uffici periferici sono il principale luogo di incontro fra cittadino e amministrazione dei Trasporti. Ormai il decentramento è un dato acquisito e sul territorio si possono svolgere molte attività: ma il ruolo di queste sedi è importantissimo anche sul versante della sicurezza. Pensiamo ai Centri di revisione mobile…”.

E le scuole? Un discorso sentito mille volte ma che resta nel limbo delle buone intenzioni… Tra i compiti delle sedi periferiche c’è anche l’educazione stradale nelle scuole?
“Andare nelle classi non è un nostro compito specifico, e, tra l’altro, non abbiamo neppure le risorse umane da dedicare a questo ambito. Pensi che molti uffici provinciali si trovano in carenza di personale anche per portare avanti il lavoro quotidiano. In ogni caso, anche con tutte le limitazioni accennate, quando possibile, ci prestiamo sempre ben volentieri. Abbiamo anche predisposto una specie di ‘quadernone’ formato carta geografica che portiamo nelle aule. Ai ragazzi insegniamo i segnali, le regole base della circolazione, ma anche l’uso corretto delle cinture e del casco, mostriamo con dei disegni le conseguenze di un incidente. In una parola li prepariamo a essere utenti della strada responsabili e coscienti”.

Si parte da zero o poco più, sembra.
“Per fortuna non siamo messi così male. Ormai si è capito che oltre a regole e controlli, serve lavorare sugli altri due punti cardinali, che sono formazione e informazione. E a proposito di scuole, pensiamo al ruolo che  hanno avuto i corsi in classe per il patentino dei ciclomotori. L’esperienza è stata positiva. Da parte dei ragazzi c’è molta disponibilità: basta guardare a come hanno risposto all’invito a creare gli spot per la campagna auto prodotta trasmessa nei cinema a inizio 2008”.

Il cittadino patentato vi conosce anche per il Cciss-Viaggiare informati, una presenza ormai familiare a tutti gli italiani.
“Noi abbiamo la regia e la responsabilità del funzionamento del servizio. A proposito del Cciss, presto ci saranno novità. Stiamo lavorando a un progetto di potenziamento e di rinnovo radicale di tutto il sistema informativo a servizio del Centro e spero di poter presto annunciare il passaggio alla fase operativa. L’obiettivo è garantire un sostanzioso miglioramento del servizio, in termini di completezza e tempestività delle informazioni”.

Intervista estratta dal sito del Ministero dei Trasporti

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